Dedico il libro ai soldati americani, inglesi, italiani, polacchi, canadesi, australiani, e agli altri soldati della coalizione che sono morti e sono stati feriti in Iraq e in Afghanistan. Da queste guerre esce una nuova generazione di eroi; escono stories of gallantry, racconti di valore e di coraggio, che parlano degli orrori della guerra, e sono lontani dal quotidiano delle nostre società: azioni di eroismo, nate spesso come atti disperati, a seguito di un’imboscata, di una situazione senza vie d’uscita. Tra i soldati U.S., alcuni di quegli atti di eroismo, i pochi resi noti, sono stati insigniti di una medaglia e sono divenuti parte del retaggio militare della nazione americana. Le luci si sono accese, per un momento, su quegli episodi, lasciando tutto intorno, nel buio, sofferenze indicibili e atroci mutilazioni; la fessura che si apre in quella che sembrava una vita solida; fattorie o villaggi dell’America profonda, da dove i giovani scompaiono; e poi incubi, “disordini post-traumatici”, collassi emotivi, ferite ancora aperte. Non era ciò che aspettavano quei ragazzi, quando guardavano il cielo nero e le saette nella prateria, e pensavano che il mondo stesse per rivelare qualche grande segreto. Immense tragedie umane sono avvenute nel caldo abbietto dell’Iraq, o sotto le fredde stelle dell’Afghanistan. Se è vero, e lo è, che la morte è un intollerabile spreco della vita, questo spreco in Iraq e in Afghanistan è avvenuto con dissennata liberalità. Per i soldati U.S. che tornano dall’Iraq o dall’Afghanistan non ci sono parate sulla 5th Avenue; New York non ha più testa per le parate. Quelle in Iraq e in Afghanistan sono state guerre con poche medaglie, assegnate dopo anni, anziché mesi, di indagini del Pentagono.

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