L’elezione di Barack Obama a Presidente degli Stati Uniti nel novembre 2008 ha suscitato enormi attese, che Obama stesso ha alimentato con annunci di rinnovamento e trasformazione. Alcuni tra i media più influenti, soprattutto in Europa, hanno descritto Obama come un portatore di rinascita, in grado di superare gli ostacoli con messaggi ed azioni non di parte, in grado di fare cose difficili, come evitare il collasso finanziario, o salvare il mondo dal riscaldamento globale, o rendere mansueto il terrorismo. I toni messianici di alcuni discorsi di Obama, le sue doti di oratore, hanno contribuito alla sua grande popolarità, in America e all’estero. Con la sua intelligente retorica, le evidenti qualità intellettuali, oltre che con la sua formidabile realtà di uomo giovane e di pelle nera divenuto Presidente, Obama è intervenuto sulla percezione collettiva che, ovunque nel mondo, si ha dell’America. Questo è il motivo per cui è stato e rimane l’uomo giusto al posto giusto. La cometa della potenza e del caos americano ha depositato sulla sua scia un altro beniamino della fortuna.
Dopo un anno, il rispetto e l’ammirazione per il giovane Presidente rimangono intatti. Non viene meno il sostegno assoluto e, direi, incondizionato, che il suo complicato lavoro esige. E non viene meno la convinzione di quanto importanti siano le sue azioni, cioè le azioni dell’America, per il presente e il futuro di tutti noi. Proprio per questo, quando alcune scelte di Obama appaiono difettose e ideologiche, non è possibile non dirlo. Obama ha la capacità di scoraggiare le critiche, come ha la capacità di cavalcare i luoghi comuni, le opinioni largamente condivise, i messaggi politicamente corretti, le cause alla moda. Ma così facendo si sposta, talvolta, su un terreno meno solido di quello necessario a un Presidente degli Stati Uniti. Molti di noi vorrebbero un Presidente USA che procede diritto per la sua strada come il cavaliere di Dűrer, senza cedere alle lusinghe del diavolo. Ma Obama deve ascoltare molte voci, a volte contrastanti. Una è quella della sua anima di riformatore. Un’altra è quella della sinistra liberal del partito Democratico, che ha avuto un ruolo nel portarlo alla Casa Bianca. Un’altra è quella del peso inquietante causato dal deficit di bilancio e dall’indebitamento USA. Un’altra è quella delle esigenze di Presidente di guerra. Ve ne sono altre ancora, e si tratta di richiami dissonanti. Soltanto alla fine del 2009, con il discorso di West Point e con quello di Oslo, e con le decisioni di cui quei discorsi trattano, Obama si è sottratto all’imperativo di cercare il consenso ed è sembrato accettare scelte impopolari, quando sia convinto di fare la cosa giusta. Dietro il suo argomentare distaccato, che è il segno di una mente razionale, capace di ampie connessioni, e che qualcuno ha definito professorale, vi è il fuoco di convinzioni autentiche.

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